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Georgia, in bilico nel Caucaso

Pubblicato da: UVNS 0 Commenti

A cavallo tra lo scorso Settembre e l’inizio di Ottobre, per poco più di una settimana, abbiamo viaggiato in Georgia, curiosi di esplorare un lontano ( per noi italiani) paese nello spazio post-sovietico, con una storia millenaria, poco conosciuta, e con l’idea di essere in tempo per conoscerlo in una dimensione che forse nei prossimi anni a venire potrebbe non essere più lo stessa, a causa dei probabili cambiamenti geopolitici ed economici nell’area e dell’eventuale svolta che lo stesso paese imprimerà alla propria storia.

Piccola nazione al centro del Caucaso, ricchissimo di storia, crocevia di imperi, Mongoli, Persiani, Turchi, Russi, tutte le potenze dell’area hanno avuto come oggetto di contesa questo paese strategico, moltissime volte conquistata, liberatasi tante altre, la Georgia è riuscita a conservare, 

per oltre due millenni fino a giorni nostri, lingua ed alfabeto propri, patrimoni culturali che assieme alla religione, ( seconda nazione a diventare cristiana, dopo l’ Armenia, al mondo) hanno forgiato il carattere e l’identità nazionale.

La recente storia della Georgia è stato segnata negli ultimi due secoli da un fattore decisivo: la dominazione russa.

A cavallo tra il Settecento e l’Ottocento infatti, i re georgiani invocarono la protezione dello Zar di Russia contro gli attacchi persiani, ma l’intervento russo portò all’annessione all’Impero russo.

La dominazione russa fu brevemente interrotta dall’indipendenza georgiana a seguito della Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, ma fu stroncata dal nuovo intervento russo nel 1921.

Dal quel momento in poi fino alla (per ora) definitiva indipendenza nel 1991, la Georgia costituì una delle repubbliche dell’URSS.

Con la proclamazione dell’indipendenza, due territori della Georgia (circa il 20 % del suo territorio), Abkhazia (nel 1993) e Ossezia del Sud (nel 1992) secedono e si autoproclamano indipendenti, scatenando dei sanguinosi conflitti che provocano migliaia di morti e centinaia di migliaia di profughi georgiani. 

Entrambe le repubbliche scelsero di restare nell’orbita russa.

Retta, nella non facile transizione post-sovietica, dall’ex ministro degli esteri dell’URSS Shevardnadze, la Georgia nel 2003 è teatro della famosa “Rivoluzione delle Rose” che segna il definitivo tramonto di ogni retaggio sovietico: una serie di massicce manifestazioni popolari contestano le elezioni presidenziali ritenute truccate, portano alle dimissioni di Shevardnadze ed al subentro, nel 2004, del  governo filo-occidentale guidato da Saakashvili, personaggio chiave della Georgia contemporanea.

 Mikheil Saak’ashvili, presidente della Georgia per due mandati, dal 2004 al 2007 il primo e di nuovo dal 2008 al 2013, impresse una forte impronta filo occidentale in politica estera e liberista nella politica economica al paese (nonostante un imponente crescita del PIL durante i suoi mandati, la povertà e la disoccupazione non diminuirono proporzionalmente, segno tangibile di una diseguale distribuzione della nuova ricchezza che per la maggior parte si concentrò nelle mani delle nuove oligarchie economiche e politiche che vennero alla ribalta anche grazie al tabula rasa delle precedenti per mano di Saak’ashvili), segnando una decisiva svolta per la storia georgiana.

La riaffermazione dell’integrità territoriale della Georgia divenne uno dei punti principali del suo programma politico, colorito da una forte retorica nazionalista e dall’attuazione di politiche aggressive, che si sostanziarono nel forte aumento delle spese militari e negli addestramenti  congiunti dell’esercito georgiano con le forze armate americane, prodromi necessari dell’intervento militare, nell’Agosto 2008, da parte delle truppe georgiane in Ossezia del Sud.

La pronta risposta dell’esercito russo, ribaltò rapidamente la situazione, le truppe georgiane furono ricacciate indietro e le forze russe avanzarono fino a pochi chilometri da Tbilisi,

La mediazione delle potenze internazionali portò al ritiro delle forze russe dal territorio georgiano, ma non alla reintegrazione dell’Ossezia del Sud, che rimase indipendente e saldamente sotto tutela della Federazione Russa, che in seguito riconobbe l’indipendenza delle due regioni separatiste nel nord della Georgia, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, e da allora ha anche una presenza militare nelle due entità.

Le repubbliche separatiste sono non solo ferite ancora sanguinanti nell’orgoglio nazionale

ma sono oggetto di preoccupazione costante per la sicurezza: annuncio del 5 Ottobre scorso dell’istituzione da parte della marina russa di una base permanente in Abkhazia,nel distretto di Ochamchire, che si affaccia sul mar Nero.

Un nuovo tassello strategico della proiezione militare russa nello specchio di mare oggetto di forte contesa nell’attuale conflitto russo-ucraino, ma che inquieta molto Tbilisi.

Dopo la parentesi Saak’ashvili (che dopo l’esperienza governativa in Georgia, prendendo la cittadinanza ucraina e supportando Euromaidan nel 2014, è stato governatore della regione di Odessa, attualmente è detenuto in Georgia per reati avvenuti durante la sua presidenza) il paese è governato dal partito “Sogno georgiano” in teoria con un carattere decisamente anti-russo e filo-europeo, nella pratica ha una posizione diplomatica e politica più morbida nei confronti di Mosca.

Questa contraddizione che può sembrare frutto di sofismi politici in realtà è lo specchio della realtà sociale e quotidiana del paese.

Russia non benvenuta ma necessaria

Dall’inizio dell’operazione militare speciale, nel Febbraio 2022, grazie al fatto che il confini terrestri siano rimasti sempre aperti, oltre 1 milione e mezzo di russi è entrato in Georgia, più di 100.000 di essi si sono stabiliti in Georgia in pianta stabile, quasi tutti nella capitale Tbilisi, la gran parte di essi ha meno di 40 anni e si oppone al governo di Vladimir Putin ( o più semplicemente sono scappati da una ipotetica chiamata sotto alle armi), una sorta di invasione (ricordiamo che il paese non ha nemmeno 4 milioni di abitanti, e Tbilisi circa 1,2 milioni, praticamente 1/3 dei georgiani vive nella capitale) silenziosa, pacifica sotto il segno dei rubli cambiati in Lari (la valuta georgiana).

Non solo comunque nuovi residenti in fuga dalla leva militare, ma una presenza turistica enorme, dettata dalla vicinanza geografica e dall’assenza di visto per i cittadini russi per entrare in Georgia, in un periodo storico in cui è estremamente difficile per un russo viaggiare a causa delle sanzioni internazionali, il russo è praticamente la lingua franca ( n.b. scarsissimo l’uso della lingua franca per eccellenza, l’inglese) utilizzata nei ristoranti, nelle strutture ricettive, nei musei, nelle attrattive turistiche, per le strade, con parte della popolazione nelle città (meno nelle zone rurali) visibilmente infastidita e restia all’utilizzo (la lingua è uno degli strumenti per eccellenza di influenza e quindi per esteso di dominio, applicabili ad una collettività).

Questo afflusso di nuovi residenti ha sconvolto la città, mettendo a dura prova la situazione abitativa e sociale e esacerbando le tensioni politiche e culturali già presenti.

Tbilisi, in special modo il centro, area preferita di residenza degli espatriati russi, è letteralmente ricoperta di graffiti anti russi : “ Fuck RuZZia”, Fuck RuZZki” (la z si riferisce al simbolo usato dalla propaganda russa durante l’Operazione Militare Speciale) “Fuck Putin”, “Putin Killer” e via discorrendo, corredati da bandiere ucraine sui muri, sui balconi, sui lunotti posteriori delle auto.

Il conflitto in Ucraina con il conseguente corposo esodo di russi ( e il minore, ma eppur presente afflusso di ucraini rifugiati) ha riacceso l’atavico conflitto in seno alla società georgiana sul rapporto con ingombrante vicino.

L’attuale conflitto è nuova benzina per la macchina russofoba tradizionalmente alimentata 

dalla ferita delle repubbliche secessioniste, occupate, per i georgiani dai russi.

La narrazione ufficiale anti-russa è decisamente forte e praticamente onnipresente, nel Museo Nazionale Georgiano, sulla lunga Shota Rustaveli Avenue, l’intero ultimo piano del museo è dedicato all’occupazione Sovietica ( quasi un sinonimo per dire russa) ove sono conservati numerosi documenti sovietici che autorizzavano gli arresti e le fucilazioni dei georgiani che si opposero al regime sovietico. 

L’enorme e lugubre sala presenta decine di fotografie ritraenti esponenti del clero ortodosso, dell’aristocrazia e dell’intellighenzia georgiana,che furono eliminati in special modo nel primo ventennio dell’occupazione sovietica dal 1921 al 1941, quando sostanzialmente la classe dirigente del paese fu, o eliminat o imprigionata o costretta all’esilio attraverso la CEKA prima e il GPU dopo.

“Georgia: Occupation continues” recita una mappa della Georgia con evidenziate di rosso le regione separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud, occupa l’intero angolo di una parete, su un’altro tabellone sono impressi i numeri della repressione: 80.000 tra fucilati e morti in prigionia e 400.000 deportati oltre ai morti della Seconda Guerra Mondiale.

Stride il dettaglio che sia abbastanza sottaciuto (praticamente ignorato) il ruolo di Stalin, georgiano di nascita, al quale invece è dedicato un museo (abbiamo visitato anch’esso) decisamente agiografico nella sua città natale Gori, quasi interamente dedicato alle sue gesta di rivoluzionario prima e di leader supremo dell’URSS poi, solo una piccolissima sala al piano terra è dedicata en passant al terrore staliniano (solo nei confronti del popolo georgiano) e…alla guerra in Abkhazia ed Ossezia, come se esse fossero la naturale prosecuzione della politiche repressive adoperate nel secolo scorso.

Di contro, a testimonianza della dimensione contraddittoria dell’esistente insita nella nazione georgiana, uno dei monumenti più visitati e apprezzati nella nazione è Monumento all’amicizia dei popoli di Russia e Georgia.

Situato nella località di Gudauri, lungo la strada militare georgiana, il monumento è costituito da una grande struttura semicircolare in pietra e cemento realizzata in un punto panoramico della Valle del Diavolo. La parete interna del monumento è completamente decorata da piastrelle che raffigurano alcune scene topiche della storia della Georgia e della Russia e il loro fatale incontro.

La location molta suggestiva sicuramente amplifica la forte portata simbolica del monumento.

Il partito al governo fa professione di equilibrismo, impegnato principalmente a mantenere l’orientamento filo-ccidentale del paese, ma questo senza provocare apertamente la Russia  assumendo un atteggiamento pienamente ostile come i paesi dell’ Occidente collettivo, questa postura ha per adesso funzionato, la Georgia è lodata dalle nazioni occidentali perchè ha aderito a livello ufficiale allo schieramento sanzionatorio anti-russo ma al tempo stesso ha la gratitudine di Mosca per non essere andato troppo a fondo.

Ma non si sa quanto questo equilibrismo possa reggere. 

L’opposizione grida alla sottomissione a Mosca, criticando aspramente la recente scelta di ripristinare i collegamenti aerei diretti con la Federazione Russa e i numerosi divieti di ingresso ad esponenti dell’opposizione russa,comminati per non rischiare di diventare de facto il centro internazionale dell’opposizione antiputiniana, scatenando la scontata reazione ostile di Mosca.

L’opposizione invoca l’introduzione dell’obbligo del visto in entrata per i russi, ma il governo è decisamente contrario: invoca la necessità e la convenienza economica degli scomodi vicini:

il PIL georgiano infatti si attesta attorno ai 28 miliardi di dollari l’anno, e la sola presenza dei russi sul territorio nazionale varrebbe almeno 1 miliardo l’anno, inoltre salta all’occhio il balzo del PIL georgiano da quando è iniziato il conflitto in Ucraina, dai poco più dei 16 Miliardi del 2021, ai quasi 21 del 2022 ai 27,8 del 2023 fino alla previsione di oltre 29 miliardi nel 2024,con inevitabili ripercussioni positive in termini di gettito fiscale per Tbilisi.

Crescita esponenziale del PIL, chiaro risultato, non solo dell’apporto positivo della presenza dei cittadini russi in loco ma anche delle triangolazioni commerciali che alimentano l’economia russa, sanzionata dall’Occidente, che si serve di nazioni terze che non adottano sanzioni nei suoi confronti, come Turchia, Serbia, Armenia, grazie a società aventi sede in queste nazioni (spesso semplici alter ego delle imprese già esistenti in Russia) che si occupano di import ed export.

Moltissimi degli espatriati russi in Georgia sono in realtà imprenditori che hanno avviato attività

ex novo o riproducendo quelle già di loro proprietà esistenti in Russia, commerciando con i paesi 

confinanti della Georgia, che non applicano le sanzioni verso la Russia.

Piccola testimonianza di questo l’impressionante flusso di camion, con targa azera, armena, turca,che costituiscono file interminabili di chilometri in entrata ed in uscita dal confine russo, che abbiamo visto lentamente transitare lungo la tortuosa “strada militare georgiana”, un importante arteria stradale lunga oltre 200 km, che attraversando le aspre montagne che segnano il confine tra Georgia e Russia, connette Tbilisi (innestandosi a sua volta con l’ autostrada con direttrice Est/Ovest, E-60, e quindi con il porto di Batumi) alla russa Vladikavkaz.

Il classico adagio “pecunia non olet” sembra impresso nella collettività georgiana e sopratutto negli apparati governativi, che devono chiudere agli occhi e far buon viso a cattivo gioco alle pressioni occidentali che chiedono di adottare una postura più dichiaratamente ostile verso la Federazione Russa, con ciò implicando un blocco o una forte riduzione dei commerci con essa, per mezzo dei paesi terzi dell’area.

Ma il fiume di soldi incassati è necessario alla modernizzazione di un paese oggettivamente arretrato rispetto agli standard occidentali ma con una forte brama di recuperare le posizioni perdute negli anni sovietici e immediatamente successivi, per poter entrare anche de jure nell’ambito circolo delle nazioni occidentali.

Rivoluzione delle Rose 2.0 o neutralità (semi)permanente ?

Viaggiando attraverso la Georgia traspare abbastanza evidente la volontà da parte della popolazione

e soprattutto degli apparati politici e governativi di entrare a fare parte della famiglia dell’Unione Europea, le cui bandiere, in Georgia, sono praticamente onnipresenti, dagli edifici governativi alle case private.

Infrastrutture, programmi culturali, programmi e progetti di sviluppo economico, conservazione dei beni archeologici, sono finanziati dall’Unione Europea ( e dagli Usa, sopratutto attraverso la USAID, Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale), questo fiume di denaro ovviamente ha una forte influenza sulla Georgia che dal 1999 aderisce al Consiglio d’Europa e dal 2014 ha un accordo di libero scambio con essa. 

Dal 2017, inoltre, per i georgiani non serve più il visto per viaggiare nell’Unione Europea,

(ciò ha ingigantito la già cospicua ondata migratoria del popolo georgiano, che dal 1991 per un terzo è emigrato fuori dai confini nazionali) nel 2022, con lo scoppio del conflitto in Ucraina, la Georgia, ha formalmente chiesto l’adesione alla Ue, ma il Consiglio Europeo ha deciso di non concederle lo status di candidato, al contrario di quanto avvenuto per Moldova e Ucraina. 

Oltre alla macro-questione geopolitica dell’estensione dei confini della UE in pieno Caucaso con tutto ciò che ne deriverebbe, numerosi sono gli ostacoli al processo di adesione: le rivendicazioni territoriali irrisolte (e difficilmente risolvibili in tempi brevi, vedi quanto accaduto in Donbass) in Abkazia e Ossezia, la ancora diffusa corruzione, il (mal)funzionamento del sistema giudiziario ( gli organismi europei, nel diniego allo status di paese candidato infatti, hanno affermato la necessità per il Paese di affrontare dodici riforme prioritarie al fine di adeguare il sistema politico e giudiziario agli standard europei, riforme che, al momento, risultano complesse e di non semplice realizzazione), hanno forte rilievo anche le divisioni all’interno dello stesso popolo georgiano non proprio così omogeneo nella scelta del posizionamento internazionale del proprio paese.

Dal semplice e atavico timore di una aggressiva risposta russa, sul modello ucraino, al perdurare di un legame, linguistico, culturale, per certi versi ideologico con l’ingombrante vicino, ad una pura non condivisione dei “valori europei” e per esteso occidentali, parte della popolazione e di conseguenza parte dello spettro politico georgiano sono molti cauti nel volersi fondere alla famiglia geopolitica europea.

Le differenze ovviamente hanno le loro linee di faglia in territori e fasce demografiche.

La popolazione più anziana e rurale resta molto diffidente del processo di integrazione europeo, non disdegna di parlare russo, fa delle fede ortodossa un imprescindibile valore fondante della propria esistenza e avversa l’impianto “progressista” dei valori europei; la popolazione più giovane e urbana,invece, ben rappresentata da Tbilisi, è esplicitamente filo-occidentale nei costumi, nel lifestyle, nelle aspirazioni, e potrebbe diventare, in proiezione, un bacino in cui pescare la massa d’urto di una possibile Rivoluzione delle Rose 2.0 (pensiamo a quanto possano influire i social network e la pervasività informativa delle piattaforme digitali nelle agitazioni politiche rispetto alle stesse di due decenni orsono) o addirittura di una sorta di Euromaidan in salsa georgiana.

Numerosi negli ultimi mesi, i rumors circa trame più o meno segrete che coinvolgerebbero apparati deviati dello stato, varie ONG, e dipartimenti esteri e servizi segreti di nazioni occidentali, volte a tentare di forzare la mano alla posizione attendista del governo nei confronti dello schieramento anti-russo, anche in vista delle prossime elezioni presidenziali, vissute con ancora più tensione a seguito dell’esacerbarsi degli attriti tra la presidente georgiana Salomé Zourabichvili, decisamente filo-ccidentale ( è nata a Parigi da una famiglia di emigranti politici georgiani, di cittadinanza francese e in seguito naturalizzata georgiana..), e il governo, come abbiamo già analizzato, su posizioni nettamente più equilibrate.

Frizioni che hanno portato addirittura ad una richiesta di impeachment da parte del governo accusando la presidente Zourabichvili, di aver violato la costituzione, per aver avuto degli incontri istituzionali con i leader europei senza previo consenso del governo, in violazione dell’articolo 52 della costituzione che impone l’approvazione del Governo per l’esercizio dei poteri presidenziali di rappresentanza nelle relazioni estere.

Le tensioni e i disordini di piazza assieme ad una adeguata copertura e supporto mediatico,potrebbero fare da leva alla caduta di un governo troppo timido agli occhi occidentali nei confronti della Federazione Russa, e all’instaurazione di un altro più accomodante verso i desiderata dei paesi occidentali, ottenendo così al termine dell’operazione la tanto agognata luce verde all’integrazione nella Ue o chissà nella NATO .

Non sarebbe la prima volta che una “rivoluzione colorata” risolvesse l’impasse politico-diplomatico

di una nazione al bivio tra l’adesione al blocco occidentale ed una neutralità volta al perseguimento dell’interesse nazionale, i casi da citare sono arcinoti..dalla Serbia all’Ucraina tra i più famosi!

Ma un eventuale soluzione si potrebbe ritrovare nella stessa realtà della Georgia odierna:i lavori di allargamento a quattro corsie, della già citata autostrada E-60, facente parte della strada europea E60 fondamentale dorsale Ovest-Est che collega Brest, in Francia, al Passo di Irkeštam, in Kirghizistan, opera strategica per la Georgia, perchè agevolerebbe il transito merci, migliorando la sicurezza stradale e riducendo notevolmente i tempi di percorrenza tra le città della costa del Mar Nero e la regione della capitale Tbilisi; essi sono finanziati con capitali occidentali, ma in essi si sono pesantemente inserite imprese edili cinesi facilmente visibili nei cantieri, o ancora la sfavillante e a tratti visionaria città di Batumi, sul mar Nero, un cantiere a cielo aperto, di grattacieli altissimi ed enormi complessi residenziali e commerciali che si innestano tra architettura sovietica e 

gusto europeo di tardo ottocento, polo turistico e finanziario che attrae massicci investimenti da tutto il globo, dove le tensioni geopolitiche tra russi (sempre in maggioranza), occidentali, turchi, mediorientali sembrano non esistere, potrebbero essere degli esempi concreti di multipolarismo

targato Georgia, una dimensione da traslare dalla mera concretezza economica alla postura nelle relazioni internazionali, che permetterebbe al piccolo paese caucasico di perseguire l’interesse nazionale in modo autonomo, senza il rischio di cadere in blocco geopolitico egemonizzato da  potenze straniere, nell’illusione di garantirsi la Libertà, equilibrato multipolarismo l’unico percorso possibile, tra l’altro, per rassicurare sia quella parte della popolazione georgiana che avverte la Russia come una minaccia costante ed esistenziale, fobia che alimenta il desiderio di far parte dell’Unione Europea e della NATO, sia quell’altra componente che non si sente pronta e sicura di approdare nel campo occidentale, sdradicando uno modus vivendi plurisecolare.

 

 

 

 

     

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